Storia di una notte di terremoto

Valter condivide i suoi ricordi della notte del 24 Agosto 2016, quando si svegliò bruscamente nella sua casa di Retrosi, colpita dal terremoto.


Retrosi (Amatrice), 24 Agosto 2016

In questi ultimi anni, spesso sono ritornato a Retrosi e nell’entrare nella mia casa, verificavo se ci fossero delle ulteriori crepe nell’intonaco dei muri, essendo questo un segnale che, in mia assenza, si erano verificate delle scosse di terremoto. Ogni volta pregavo che non ci fossero, per il timore dei danni che si sarebbero creati e anche per un principio che poi nel tempo è risultato errato, cioè che il terremoto non facendosi sentire era in uno stato di quiete. Anche in quella estate del 2016, il mio pensiero ogni tanto, andava al terremoto, perché ormai, pur convivendoci (e di piccole scosse si sentivano spesso) si ha sempre una sgradita sensazione di impotenza all’evento. Se io ripenso a quella notte del 24 agosto, la ricordo limpida e precisa, ma non come un evento dove sono il soggetto, ma come colui che vede un film, e dalla platea del cinema guarda ciò che succede all’attore principale.

Ricordo che ero a letto a dormire e alle 3 e 36 è iniziata a tremare casa. Mi sembrava una di quelle scosse che ogni tanto ci ha abituati noi Retrosari a conviverci, quando poi la scossa si è fatta più forte e più lunga, ho capito subito che questa volta avrebbe fatto dei grossi danni. Dato che alcune volte mi sono chiesto che cosa avrei fatto in caso di terremoto, ho pensato di metterlo in pratica, cioè buttarmi subito sotto il letto, cosa che ho subito realizzato attendendo che il terremoto si placasse. Quando finalmente la scossa è terminata, tra polvere e calcinacci, ho chiamato subito mio genero Euklid e mia zia Pina e, con l’aiuto di una torcia tascabile, siamo scesi per le scale facendo attenzione, in mezzo alla polvere, di non mettere i piedi sopra i calcinacci . Arrivati davanti al portone di casa, questo non si apriva del tutto, a causa dei calcinacci che si erano messi sotto e non lo faceva aprire. Come Dio volle, siamo usciti in strada e abbiamo visto un inferno: polvere da tutte le parti, gente che usciva in strada impaurita, pezzi di cornicioni, sassi per terra e grida che chiedevano aiuto; le persone che uscivano dalle case, si mettevano al centro del sagrato della chiesa, in attesa di capire cosa fare, tanto erano disorientate.

Alcuni bambini che si erano messi davanti alla porta di una casa, sono stati subito allontanati e messi al centro della strada, alcuni “giovanotti” ( Matteo Martinelli e Rodolfo Gargiulo), avendo sentito che Zia Mimma e Maurizio non riuscivano ad aprire il portone di casa, sono saliti sul pianerottolo ed hanno forzato il portone, fino a farli uscire.

Nel frattempo essendo tutti noi di famiglia usciti con il pigiama e scalzi, decisi di ritornare dentro casa per prendere i vestiti e le scarpe che con la fretta avevamo dimenticato in camera, e ce le siamo indossati sul sagrato della chiesa. Le voci di alcune persone sollecitavano tutti ad andare verso la trasanna, posto ritenuto più sicuro, visto che aveva resistito bene ai precedenti terremoti. Molti clienti dell’albergo diffuso abbandonavano la casa dietro la chiesa e chiedevano indicazioni per mettersi in salvo. Mio genero Euklid, nel frattempo, era andato verso la casetta verde della Conca, per vedere la situazione, dato che mia sorella, era li con mio nipote.

Quando io e zia Pina siamo andati verso la trasanna, nel passare tra la chiesa e la casa di Cesarotto, zia mi ha bloccato perché si era persa una ciabatta, in quel preciso momento crollava una parte del muro della chiesa; ricordo Francesca che urlava di attendere, e poi, una volta dissolta la polvere, di correre verso la trasanna per il rischio di nuovi crolli: la fortuna ha voluto che la ciabatta di zia ci salvasse la vita.

Decisi con zia Pina di fare il giro passando per la strada a fianco al vecchio Centro sociale per arrivare alla trasanna. Ancora una volta zia Pina, essendosi persa la ciabatta, decisi di rientrare in casa e prendere le sue scarpe, e alcuni effetti personali che avevo lasciato. Quando ritornai a prenderla, la trovai dentro la macchina di Paolo Ciancaglioni che gentilmente l’aveva ospitata in attesa dell’alba. Quando giunsi da lei, decisi che fosse meglio portarla alla Trasanna perché sarebbe stata al sicuro e al caldo, e così fu.

Una volta lasciata zia Pina in mani sicure, decisi di ritornare verso casa, perchè avevo notato che mancavano molte persone al Trasanna e pregavo che il terremoto non avesse fatto delle vittime.

Nel ritornare verso casa incontrai mio genero e mio nipote che mi fecero notare che mancava Lilli, il cane meticcio che viveva con noi, allora chiesi ai ragazzi di salire in casa e verificare nelle stanze se il cane fosse rimasto chiuso o bloccato, mentre io verificavo se fosse intorno casa. Trovai il cane seduto davanti al cancello dell’orto e sul viso l’espressione di chi ti dice: ” hai visto che è successo? E tu mi hai lasciato solo.” Fui felice di rivederlo e la misi subito dentro l‘orto, sicuro che lì non le sarebbe successo nulla.

Nel mentre aprivo il cancello, mi giunsero alle orecchie delle voci di aiuto provenienti dalla casa difronte l’orto: mi accostai per tentare di aprire il portone a vetri e quello di legno, e dopo qualche sforzo riuscii ad aprirli e a far uscire Sante ed Eugenia dalla casa. Mi incamminai verso la casa verde della Conca per andare a trovare mia sorella e mio nipote per avere notizie di loro e della casa dove erano ospiti e la trovai, come molte persone, dentro la sua auto al parcheggio all’ingresso di Retrosi.

Nel rientrare dentro il paese, non so per quale motivo, davanti alla casa di Paolone decisi di entrare nel vicolo dove ha casa Gabriella e li sentii la voce di Vittorio che non riusciva ad aprire la porta blindata. Mentre ero li che tentavo di aprire il suo portone, mi raggiunse Luciano, che mi diede una mano per aprirlo: finalmente dopo alcuni sforzi ci riuscimmo .

Proseguii la strada e mi trovai insieme a Luigi Nardi, Angelo Zaroli, Scialanga Valerio e altri, sulla piazzetta davanti casa di Sandra, dove gli stessi “giovanotti” (Rodolfo Gargiulo e Matteo Martinelli) che precedentemente avevano portato fuori Zia Mimma, stavano tentando con una scala, di far uscire Sandra dal terrazzino al primo piano essendo rimasta bloccata in casa. Sulla piazzetta eravamo tutti radunati con le lampade e cercavamo un modo per far uscire Sandra dalla casa, prima che una ulteriore scossa rendesse tragica la situazione.

Chi era li, stava con gli occhi rivolti sia al terrazzo di Sandra dove i giovanotti tentavano di aprire le serrande, sia la casa di Massimo Scialanga, perché il terremoto aveva aperto una falla grande che se fosse sopraggiunta un’ulteriore scossa, i detriti rimasti attaccati alla casa, ci avrebbero sicuramente investito.

Alcuni di noi presero delle spranghe e dei martelli, e come Dio volle, quei “giovanotti” riuscirono a tirar fuori Sandra e a farla scendere per una scala che avevano utilizzato per arrivare al terrazzo.

Intanto si era fatta l’alba e decisi di camminare per tutto il paese per vedere sia se c’erano altre persone intrappolate, sia perché la luce dell’alba rendeva meglio l’idea di quanto era successo a Retrosi. Mentre camminavo, si delineava in me quello che era realmente successo, vedere quelle case distrutte mi dava, man mano, il senso del dramma che si era consumato, ma per fortuna eravamo tutti vivi e senza neanche un ferito.

La prima idea che mi venne in mente, in quel momento, è stata che ormai non avrebbe avuto nessun senso stare li senza una casa, tutti gli amici di Retrosi si erano miracolosamente salvati e di Amatrice si sentivano solo le notizie che un autoradio dentro una vettura parcheggiata alla trasanna, raccontava; credo che in quel momento nessuno di noi immaginasse cosa veramente era successo ad Amatrice. Decisi quindi di prendere le cose più importanti e insieme alla Zia Pina, al Genero Euklid e al cane Lilli, partire per Roma. Strada facendo ci fermammo per rifocillarci vicino l’Aquila e dal televisore del bar, vedemmo le prime immagini di Amatrice distrutta: non riuscii più a parlare perché le lacrime mi solcavano velocemente il viso e la forte emozione provata in quella notte, mi impediva di parlare.

Tornai a casa e raccontai alla mia famiglia ciò che era accaduto, ringraziammo Dio per essere salvi e cercammo di non pensare ad altro. Una telefonata mi condusse però alla disperazione: erano morti a Casale una famiglia di quattro amici con cui avevamo diviso l’amore per il teatro e per la nostra terra, uscendo vivo solo un ragazzo di 10 anni figlio della coppia.

Quanto oggi racconto con fredda determinazione questa storia, lo faccio controllando le emozioni che solo ora, e non sempre, riesco a frenare.

Se ancora oggi il pensiero si ferma a ricordare quanto è crollato in quella notte (casa, beni affettivi, sogni, ecc.) , mi piace pensare però che i miei figli, un domani, potranno godere quello che io ho goduto fino al 23 agosto in una Retrosi sicuramente ancora più bella e sicura.

Valter Catena

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