La notte dei calcinacci

Alessandro ci descrive emozioni, fatti e ricordi della notte del 24 agosto 2016, a Retrosi.


Mi è estremamente difficile e penoso tornare col pensiero a quella terribile notte dell’agosto scorso. Faccio ancora fatica a mettere ordine, cronologico , logico ed emozionale, in quella sequela di fatti, parole e sensazioni che si sono affastellati dopo il brusco risveglio delle 3.36. Ancora oggi li rivedo così, episodi confusi contorti ed incongrui, come in un film dove un montatore pazzo si fosse divertito a tagliare e ricucire a caso spezzoni della pellicola. Ecco quindi la fuga precipitosa dalla casa, calpestando calcinacci ed oggetti caduti, i richiami per strada, voci conosciute e no, grida attutite provenienti da chi, bloccato in casa dal portone sconnesso, chiedeva aiuto per uscirne. Un passaparola istintivo ci ha fatto riunire, noi della parte bassa  del paese, nel parcheggio, lontani per quanto possibile dalle abitazioni, di cui solo vagamente riuscivamo a vedere i danni, nel buio completo rischiarato solo dagli schermi dei telefonini. Notte fonda, oscurità e silenzio, brusii di commenti, angoscia e paura,le prime informazioni sul disastro dalle telefonate e dai notiziari captati con autoradio, cuore in gola ogni volta che la terra tremava sotto i piedi (ora passa, passa…., ragazzi .. sì dai, è finita….Dicono che ad Amatrice è un vero disastro…. poveracci….).

Con le prime luci del giorno, rinfrancati dal relativo acquietamento delle scosse, a gruppetti ci siamo mossi in su, magari passando per il Puzzone, per non vedere lo sfacelo della via centrale (… ohoh state lontani dalle case, guarda le tegole che sporgono… quel camino sta per venire giù…) Come sospinto da un’invisibile mano, inconsciamente alla ricerca di conforto sono arrivato alla Trasanna dove già c’era chi si era fattivamente messo all’opera per organizzare l’accoglienza possibile in quel caotico frangente. Chi mi ha visto arrivare zoppicante si è preoccupato di portare giù i lettini dalla piscina per farmi distendere, sedie e tavolini al centro della pista da ballo, benefico conforto per chi neanche riusciva a stare in piedi, affranto da tanto disastro. Dalla cucina un continuo viavai di volontari per offrire bevande calde a chi ne avesse bisogno, o coperte e capi di abbigliamento rimediati chissà come. Ricordo il sorriso della signora che mi ha dato una tazza di tè, volto certamente conosciuto, ma della quale da sempre mi era ignoto il cognome, per quanto se pur vagamente sapevo “da quale casa uscisse” (problemi  normali per un “accattaticcio”, scusate…). Se qualcuno, per nostra fortuna, sapeva cosa fare, erano in tanti che come me vagavano con lo sguardo da capannello a capannello, muti abbracci di solidarietà, parole dolci sussurrate per confortare gli altri e se stessi, come in un surreale momento sospeso nel tempo, dove nessuno voleva far caso agli incongrui abbigliamenti con cui chi più chi meno, ci presentavamo alla vista di tutti, e mai ci saremmo sognati che ciò sarebbe potuto accadere. Ricordo un gesto, tenerissimo, una signora parlava con un’altra, forse sua amica forse no, e cercando di essere più discreta possibile andava togliendole piccoli calcinacci impigliati nei capelli, poi con gesti affettuosi  cercava di scuoterle la polvere dalla camicia da notte. Inebetito, incapace anche solo di pensare, ho sentito intorno a me nascere l’organizzazione: qualcuno con invidiabile senso pratico, andava facendo appelli e conteggi, chiedendo ad ognuno di ricordare se fossero assenti persone conosciute, familiari o conoscenti, vicini di casa e nel caso c’era chi era già pronto a ritornare in paese, fidando nella sorte o forse senza neppure pensarci, per salvare chi ancora ne avesse bisogno. Una volta certi che sì, indubbiamente tutti eravamo al Trasanna, si è passati a preoccuparci degli animali domestici, forse fuggiti lontano, forse ancora intrappolati dalle macerie.

Mi sento inadeguato a raccontare tutto quello che successe quel giorno al Trasanna, la paura ancora non si scioglie dentro di me, mi perdonerete per quanto ho omesso o esagerato, cuore  e scrittura ancora non hanno trovato un loro accordo.  Di un fatto però sono fiero e certo. Quella mattina, mentre il sole si alzava dietro le montagne ad illuminare la Trasanna e la comunità dei Retrosari, ho sentito vivo un sentimento di compartecipazione e solidarietà che andava oltre vecchie incomprensioni ed ostilità: il terremoto ci ha riuniti nel luogo che tutti sentiamo come sicuro e confortevole. Questa è la lezione che non dobbiamo dimenticare, perché Retrosi rinasca.

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